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26 l’edera

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— Così, perchè son tre e son vecchi.

— Ce n’è uno malato, vero? È fratello di don Simone?

— Oh, no — protestò Gantine, sporgendo le labbra con disprezzo. — È un parente. È un uomo che è stato alla guerra ed ha tanti denari. Ma avaro! Vedi, muore così, coi pugni stretti. Sta qui da due anni, ed ha fatto testamento in favore di Rosa, la figlia di don Paulu.

— Don Paulu è figlio di don Simone?

— No, è suo nipote: è figlio di don Priamu, che ora è morto...

— I tuoi padroni son molto ricchi, vero?

— Sì, — mentì il servo, — sono ancora ricchi; prima lo erano molto di più.

Ma in quel momento rientrò Annesa, e il giovine chiacchierone cambiò discorso.

— Anna, pili brunda[1], costui non vuol credere che l’anno venturo noi due ci sposeremo. Non è vero che siamo cresciuti assieme in questa casa, come parenti?

— E allora beviamo alla vostra buona fortuna, — disse l’ospite, bevendo un po’ di vino rimasto nel suo bicchiere.

— Tu ci porterai un’altra bottiglia, Annesa? Sì, portacela! — supplicò Gantine, tendendo alla donna la bottiglia vuota; ma Annesa gli voltò le spalle e volle rientrare nella stanza dove i vecchi padroni e l’ospite ricco chiacchieravano e ridevano.

  1. Dai capelli biondi.
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