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l’edera 33

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:35|3|0]]gli occhi chiusi, parve svenire, e si lasciò trascinare da Paulu che l’attirò in fondo all’orto, verso il bosco.

Ma quando furono laggiù, sotto l’albero nero ed immobile, la cui ombra conosceva il loro amore, ella si scosse, sollevò le braccia e si attaccò a Paulu con una stretta nervosa.

— Credevo che non tornassi, — gli mormorò sul viso, — ti ho veduto così cupo, così triste... Invece sei venuto... Sei venuto... Sei qui! Mi pare di sognare... Dimmi... dimmi... dimmi...

— Mi son liberato dell’ospite: l’ho lasciato in casa di prete Virdis, dove andrò a riprenderlo... Gantine ha la chiave?

— Sì; ho chiuso tutto, — disse Annesa, con voce velata. — Dimmi... dimmi?...

— Niente ancora! — egli disse. — Ma non pensiamo a questo.

E la baciò. Le sue labbra scottavano, ma c’era nel suo bacio un ardore amaro, la disperazione dell’uomo che cerca sulle labbra della donna l’oblio delle sue cure e delle sue tristezze. Annesa era intelligente e capiva i sentimenti di Paulu: si lasciò baciare, senza insistere nelle sue domande, ma cominciò a piangere.

Un profumo come di pere mature fondevasi con l’odore umido dell’orto: in lontananza, nella profondità nera del bosco, una fiammella rossa brillava ogni tanto e pareva un occhio che si aprisse di tratto in tratto per spiare gli amanti. E una voce lontana, giovanile e sonora ma alquanto av-

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