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l’edera 37

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:39|3|0]]le mani abbandonate sui fianchi, il capo chino, gli occhi bassi. Gli pareva di venir meno, di soffocare, di non dover mai più uscire dall’ombra nera e pesante che lo circondava.

— Rispondi, — ella proseguì, scuotendolo con le sue piccole braccia che parevano d’acciaio. Dimmi di sì. Ci hai pensato, vero? Non aver paura di me, Paulu... Anch’io sposerò Gantine, se tu vorrai: e ce ne andremo lontani, io e lui, e con te non ci vedremo mai più. Tanto, vedi, lo so: io sono nata per seguire una via di sventura. La sorte mi odia, e mi ha gettato nel mondo per ischerno, come una maschera ubbriaca getta uno straccio sulla via... Chi sono io? Uno straccio, una cosa che non serve a nulla... Non prenderti pensiero di me, Paulu... Chi sono io?

Paulu l’ascoltava e taceva. Ella gli destava compassione e dispetto. E ad un tratto egli la respinse e mormorò parole crudeli.

— Io non ho mai creduto che io fossi da vendere. Annesa! Ma forse ora è tempo di pensarci, poichè non c’è altro rimedio. Chi lo sa? può darsi che segua il tuo consiglio...

Allora ella tacque, spaventata. Egli la respingeva, ma ella si teneva aggrappata a lui, e solo quando egli ebbe pronunziate le ultime parole, ella aprì le braccia, e cadde a terra come una pianta rampicante priva di sostegno. Egli la credette svenuta e si curvò su lei.

— Che fai ora, Anna?

Ella gemette.

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