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62 l’edera

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Annesa andava raramente in chiesa: capì l’allusione, ma non si turbò. Guardava nella spianata, fingendo d’interessarsi al quadro variopinto che le si stendeva innanzi agli occhi, e ascoltava i bandi che il messo[1], ritto sopra una roccia, gridava alla folla.

Anche Paulu guardava laggiù. La figura del messo, alta e selvaggia, spiccava nera nel sole. Col suo tamburo scintillante, col suo costume metà da paesano, metà da cacciatore, col suo berretto di pelo che pareva la capigliatura naturale di quella testa nera e forte, il messo dava l’idea di un araldo primitivo sceso giù dai boschi della montagna per annunziare qualche cosa di terribile ai pacifici bevitori d’acquavite e di anisetta raccolti intorno ai furbi rivenditori della spianata. Tutti lo guardavano, ed egli gridava con voce stentorea da predicatore:

— Giovani e giovanotte, andate a ritrattarvi dal fotografo che abita presso il falegname Francesco Casu. E chi vuole orzo a una lira il quarto[2] corra dal signor Balentinu Virdis. E presso Maria detta la Santissima si vendono uova fresche e sorbetti fatti col ghiaccio...

— Sì, anche le donne moresche! — ripetè prete Virdis. — Quelle che si alzano la mattina col diavolo e vanno a letto, la sera, col demonio. Va, va. Rosa, prega per questa gente, che si converta.

  1. Banditore.
  2. Quarto d’ettolitro.
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