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l'ombra del passato | 135 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'ombra del passato.djvu{{padleft:139|3|0]]guardò avidamente, coi suoi occhietti neri brillanti, e senza smettere di mordere il suo pane cominciò ad esclamare:
— Ah, uova? Ah, formaggio? Ah, burro? Me ne dai?
— Ti dò un ceffone, sfacciata, — gridò la donna, respingendola.
Adone rise ancora: anche la bimba rideva, avvoltolandosi sull’erba.
La cestaja si mise a discorrere con Adone come con un grande.
— Sì, — diceva legando il suo fagotto, — io sono della provincia di Cremona; mio marito era di Casale, era scalpellino ed è morto in Prussia, quest’inverno. Questa puttina era figlia sua e di un’altra donna. Ecco l’eredità ch’egli m’ha lasciato. Fosse almeno buona, questa puttina: ma no, è cattiva come un diavoletto...
— Ah, no! Ah, no! Non lo farò più, mamma! — gridò appassionatamente la bambina, strofinandosi addosso alla donna e baciandola forte. Era così bellina, così carezzevole, che la vedova la guardò sorridendo con adorazione.
— Va là, sta quieta, Caterina! Su, lasciami.
E continuò a raccontare la sua storia dolorosa. Ella intesseva cestini durante l’inverno e andava a venderli nella bella stagione: qualche volta anche durante la cattiva. Aveva seguito il marito fino in Prussia e nell’Ungheria. Lì, sì, fa freddo, cari i miei puttini! Vien voglia di attaccare fuoco al proprio carrettino.