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258 l'ombra del passato

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— Nessuno ancora. Verranno in settembre.

Sfido, ci son tanti polli e tante frutta, allora! disse Adone con malizia. — C’è un pittorello, solo: affresca la parrocchia: certa roba, Dio mio! Angeli verdi e gialli, santi violacei, alberi rossi. Roba dell’altro mondo davvero!

— La parrocchia può star fresca, allora! Come si chiama, questo pittore?

— Monti, mi pare. È di Mantova: è un ragazzetto... un balbuziente.

— Monti? È un milionario! — disse Davide; e questa notizia parve molto rallegrarlo. Egli si sollevò, guardò verso Fossa Caprara, di cui si vedeva la torre illuminata dalla luna, e passò una mano sulle spalle di Adone.

— E di te non mi racconti nulla? Quando ti sposi? Raccontami: sei felice?

Adone trasalì. La domanda di Davide arrivava a proposito: ed egli fu nuovamente preso dal desiderio di raccontargli come ad un fratello maggiore tutte le sue inquietudini, i suoi sogni, le sue speranze, e domandargli, come un tempo, ajuto e consiglio. Ma ancor prima ch’egli avesse aperto bocca Davide parve dimenticare la domanda che gli aveva rivolto.

— Che fai, ragazzaccio; ma che fai? — cominciò a gridare, poichè Adone, invece di proseguire per l’argine, scendeva la fuga di Fossa Caprara. — Tu vuoi ammazzarmi. Non senti che umido? Torna indietro, o va piano, almeno, diavoletto!

— Ma no, lasci fare! C’è più umido sull’argine, — disse l’altro, tirando le redini. Il cavallino

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