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l'ombra del passato 307

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La mamma non protestò; non era gelosa lei; non si è gelosi quando non si ama troppo.

— Andiamo in cucina, — ella disse, — precedendolo con la secchia in mano. — I ragazzi son già via. Anche l’Eva è andata a comprare il latte. Reno lavora: ha comprato una piccola macchina per far la conserva dei pomidoro, e gira per i paesi. Ha tanto giudizio, quel ragazzo. E anche talento, veh! La macchina non andava molto bene; lui l’ha aggiustata, l’ha perfezionata, ha messo un imbuto più capace, ed ora va a meraviglia. È proprio bravo, tuo fratello! E dice che andrà in America.

— Son contento! — egli disse, entrando in cucina. Le pareti erano tinte di rosa e di celeste: in un bicchiere, sulla tavola di noce, odoravano alcuni gigli palustri, gialli e lucenti come l’oro. Adone guardò le pareti, guardò i fiori, e gli parve d’essere in un luogo sconosciuto. Che era venuto a fare? Che voleva? Era sua madre quella donna che s’avanzava con la secchia in mano, e parlava dei suoi figliuoli industri? Dov’erano questi fratelli? Pensavano a lui? No, certo: Francesco pensava a Fiorina, Eva pensava a Fiorello: i suoi fratelli facevano lega coi suoi nemici. Ed egli era un estraneo, forse un nemico, per loro: egli che aveva sognato d’essere il loro protettore. Ah, essi non avevano più bisogno di raccattare le sue briciole: essi avevano messo le ali e volavano più forte di lui. Anche sulle spalle del rachitico erano spuntate due alucce che lo avrebbero forse portato nei paesi della fortuna.

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