Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
32 | l'ombra del passato |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'ombra del passato.djvu{{padleft:36|3|0]]
— Caro il mio omin!— ripetè la mamma prendendo la moneta che Adone le mise in grembo.
E gli diede finalmente un bacio, così dolce, così dolce; più dolce delle mele di cui egli aveva fatto sacrifizio!
— La Tognina si lamenta? Lo sai, non esco mai — ella disse sporgendo uno dei suoi piedi scalzi. — Vedi, non ho neppure le ciabatte! Ah, caro il mio omin, siamo tanto poveri noi! Ma non importa, purchè tu non ti stanchi di obbedire, di amare i tuoi zii, e di farci sperare che un giorno sarai la nostra consolazione.
Poi ella parlò del babbo morto.
Egli era tanto bravo: lavorava giorno e notte, e tu sai quanto lavorano i muratori di ponti. Egli sarebbe diventato capomastro, se Dio non lo chiamava a sè. Tu diventerai bravo come il tuo babbo?
— Sì! — egli rispose vivacemente, contento che la sua mamma gli dimostrasse almeno un po’ d’affetto. E cominciò a esporre i suoi vasti progetti per l’avvenire.
— Eh, certo, io lavorerò giorno e notte e anche un pochino la festa. Voglio fare il maestro o il capomastro. E farò un palazzo alto, alto, con due torri. In una ci starete voi, nell’altra io con mia moglie e i miei puttini...
— Mi no! — esclamò Eva, che ascoltava avidamente. — Non voglio cadere, io...
— Bada intanto di non lasciare cadere Ottavio, osservò la mamma.