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42 l'ombra del passato

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— Speriamo non sia il caso.

Ma intanto erano giunti. Sotto i suoi piedini Adone sentiva il lastrico della via, e la gioja e l’emozione di trovarsi nella città gli faceva dimenticare ogni altra cosa.

Ed ora lo zio giaceva sprofondato fra i cuscini di piume. Il suo viso diventava sempre più cadaverico: le sue mani, abbandonate sulle lenzuola, sembravano già morte.

Tognina, col viso reclinato sul povero gigante abbattuto come una quercia dal fulmine, gli copriva la fronte con pannolini bagnati; e di tanto in tanto gli sollevava ora l’una ora l’altra mano e dopo averla tenuta alquanto sospesa la lasciava ricadere sul lenzuolo umido.

Adone guardava, con tristezza e paura. Domandò sottovoce!

— È morto?

Nessuno rispose. Soltanto Pirloccia si mise un dito sulle labbra, e Adone non osò più fiatare.

L’ometto s’era installato accanto al Ietto di Giovanni, e pareva non avesse intenzione di muoversi. Nella penombra, coi suoi occhietti lucidi come quelli di un to|M>, intenti a spiare il momento della morte del gigante, egli pareva uno gnomo maligno pronto a compiere qualche opera cattiva.

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