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182 la natura

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Perocchè, s’egli è un mal, dopo la morte
Da le zanne e da’ rostri esser sbranato,
1140Non trovo, come mai non sia crudele
L’esser posto su ’l rogo e torrefatto,
O sommerso nel miele, o sovra un liscio
1143Gelido marmo irrigidir disteso,
O da la grave terra essere oppresso.
«Omai non più la tua casetta allegra
1146T’accoglierà, non più l’ottima sposa,
Non i tuoi dolci figlioletti a gara
Verranti incontro a rapire i tuoi baci
1149E di muta dolcezza empierti il petto,
Non più con le fiorenti opre a’ tuoi cari
D’onorato presidio esser potrai;
1152Misero che tu sei, dicendo vanno,
Tutti ti tolse in miseranda guisa
I premj de la vita un giorno avverso!»
1155Non aggiungono a ciò: «Di queste cose
Più nessun desiderio omai ti avanza.»
Chè, se intendesser ben l’animo a questo
1158Seguitando a parlar, d’angoscia tanta
E da tanta paura andrían disciolti.
«Tu qual sopito da la morte or sei,
1161Tal d’ogni morbo scevro e d’ogni affanno
Tu per sempre starai; ma noi da canto
Al tremato sepolcro ove tu giaci,
1164Fatto cenere omai, te piangeremo


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