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libro quinto 311

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1317Eterna su la terra ombra sedesse.
Ma questo dava a lor pena maggiore,
Che le razze ferine assai sovente
1320Rendean la quiete agl’infelici infesta:
Di spumanti cinghiali e di gagliardi
Leoni a l’appressar, da le petrose
1323Protettrici spelonche ívano in fuga,
E spaventati a’ fieri ospiti a tarda
Notte i covi cedean sparsi di foglie.
  1326Nè allor molto più d’ora il dolce raggio
I mortali perdean de la volgente
Vita: più d’ora ognun di lor sorpreso
1329E strazïato da’ feroci denti
A le belve offería pascoli vivi,
E boschi e monti e selve empía di gemiti,
1332Le sue viscere vive in viva tomba
Vedendo seppellir. Quei, che la fuga
Scampati avea, tutti da’ morsi guasti,
1335Tenendo poi sovra a le sozze piaghe
Le man tremanti, con orride voci
Invocavan la morte, infin che, privi
1338D’ogni soccorso e d’ogni cosa ignari,
Che giovi a medicar le rie ferite,
Tolta da fieri vermi avean la vita.
1341Ma non tratti a morir sotto l’insegne
Erano in un sol dì gli uomini a mille,
Nè de l’oceano i procellosi flutti


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