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— Stiamo qui, stiamo qui; — e sedette davanti ad una delle lunghe tavole dell’osteria, nere di vino.

Antioco, rassegnato, stette in piedi presso di lui, volgendo dì qua e di là l’agile testa per guardare se, almeno, tutto era in ordine, e pauroso che sopravvenisse qualche avventore.

Non veniva nessuno e tutto era in ordine: l’ombra grande della madre copriva lo scaffale delle bottiglie verdi, rosse e gialle dei liquori, dietro il piccolo banco, mentre la luce della lampada a petrolio batteva cruda sulle piccole botti nere e come appoggiate alla parete opposta. Del resto non c’era altro che la tavola davanti a cui sedeva il prete e un’altra tavola solitaria; e sulla porta, pendente dall’architrave, un mazzo di ginestre che serviva al doppio scopo di avvertire i passanti che quella era la porta di una bettola, e di prendere le mosche.

Antioco aveva, durante tutta la giornata, atteso quell’ora: gli pareva che un mistero dovesse scoprirsi. Aveva paura

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