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libro sesto. 129

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Men ti dorrai che i visceri discioglia
Sconcio profluvio al mal guardato armento.
Lo stipato ne’chiusi aere condenso,
E il troppo sole i petti affanna, e scalda
385Il sangue, e in foco avvampa; e le mortali
Febbri adduce, e la pelle arde con larghe
Margini e schianze; del supposto fimo
Grave è alla lunga e triste il lezzo, ed aspra
Scabbie sui corpi fermentando impronta.
390Non lo addur dove molta in sul mattino
Piovve rugiada, o dove in tra le spesse
Ombre adorezza, e bianca appar la brina;
Nè per molto viaggio si affatichi,
Nè per aspri sentier, quando è satollo,
395O quando alle fattrici il ventre ingrossa
In sul chiuder de’ mesi. I luoghi alterna
Del pascolo ogni dì; non lo percuoti
Disonesto, e garrendo non consenti
Che paura lo assaglia, e dolcemente
400Lo scorgi, e il fischio consueto intenda.
Più che il vincastro e il cornïol ferrato,
Reggalo il fischio; e le percosse, e il molto
Garrir nemico obblia; che a’ miti spirti
Vuolsi miti adoprar modi e parole.

    Arici, Pastorizia 9

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