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libro secondo. 25

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E le tiene il pastor, chè immantinente
70Stupide dalla ripa si abbandonano
Tutte quante, addossandosi e premendosi.
Sien lungo irti vepraj, lunge infecondi
Di triboli e di spine orridi campi,
Ed acquidose fitte. Al mar vicino
75Non ti fermar, chè sull’ignuda arèna
Erba non esce, nè ti vai dell’onde
Amare aver d’intorno inutil copia:
E il suon dei flutti, che in tempesta al lido
Si sospingon la notte allo mugghiando,
80Alle raccolte pecorelle i queti
Sonni interrompe, e d’orror vano ingombra.
E il Toscano pastor, che le maremme
Pascea d’Etruria, e quei, che in sullo stremo
Dell’erbosa Sicilia, al mar vicino
85Spingea l’armento, lagrimò deserto
Il caro pecoril; perocchè addotto
Ivi da fame o mal voler, sul lito
Balzò l’Afro vagante, o dell’aprica
Alger l’infesto scorritor de’ mari;
90E col ferro nemico insanguinando
Le ville, a strazio miserabil trasse
E menò servo coi pastor l’armento.

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