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libro secondo. 39

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Acqua ne’ dogli. Soffice e cernita
Di ciottoli la terra occupi lieve
405Alta d’un palmo dell’ovil lo spazzo,
E la copri di molle arido strame;
Che torrai poscia, allor ch’umido è fatto
Dal lungo uso del gregge. Il terren volta
Zappando, allorché in ciel l’argentea luna
410Ripiglierà le corna; e quando odora
Di gran lezzo impregnato e di vapori,
Lo cangerai, mondando ogni sozzura.
Del ben guardato pecoril lontano
Il buon fimo si cumuli del guasto
415Pagliajo e dello strame; ed al coperto
Il terre, che fu letto, aduna e serba.
  Quando rinnovi della notte il sozzo
Umido letto, o sopra vi distendi
Nuove paglie (qualor vento non mova
420Impetuoso, nè si versi greve
Continua pioggia) esca l’armento, e il puro
Aere si beva dell’aperto cielo.
Nei ricinti, che industre opra condusse
D’intorno al pecorile, o tra le siepi
425Onde l’aja si cinge, a suo talento
Discorra: come troppo i petti affanna

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