< Pagina:La regina delle tenebre.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 106 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La regina delle tenebre.djvu{{padleft:112|3|0]]

— E chi lo sa? Lo so io! Ma voi non lo sapete! Voi siete figlio di Sant’Antonio: ed io sono figlio delle mie opere.

— Belle opere! — disse dama Lillica, avviandosi verso chiesa.

Bellia si volse, la seguì con lo sguardo, rise ancora.

— Preghi bene, monsignora, preghi per tutti, per gli uomini e per le bestie, per le volpi e per le lucertole, per gli avoltoj e per le colombe...

— E per gli asini! Va, va, va e coricati! — gli ripetè Ghisparru, minaccioso.

— Sì, vado e mi corico, perchè sono ubbriaco. Ma non è tutto vino quello che ho in corpo; c’è altra cosa, c’è fiele, c’è assenzio, c’è tosco, ci son coltelli. Vado, vado, ma non si arrabbi, lei, piccolo dottore; ma dopo, quando sarò sano, parleremo. E anche con quello lì! —

L’ubbriaco si volgeva sempre verso il custode, fissandolo coi suoi piccoli occhi cisposi, ardenti.

Anche zio Juanne lo guardava; e gli pareva averlo veduto altra volta, e un ricordo indistinto, quasi affannoso, gli sfiorava la mente, senza lasciarsi afferrare.

E anch’egli diceva:

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.