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Per confortarlo, l’avvocato gli disse che avrebbero tosto ricorso in Cassazione; ma egli non aveva più fiducia, non credeva, non sperava più. Il cuore gli si restrinse, gli si fece secco e amaro come una susina selvatica: non pregò, non pianse più.

E lo portarono lontano, lontano, in una salina; gli rasero i capelli, la barba, i baffi; lo vestirono di rosso e gli saldarono una catena al piede. Nei primi tempi egli visse disperatamente: la vista del mare immenso, a lui avvezzo ai boschi umidi e chiusi, accresceva il senso d’una disperata nostalgia.

Ma col passare degli anni si avvezzò a tutto, si rassegnò, e le sue memorie si confusero: talvolta anzi, pensando che al paese la sua vecchiaia sarebbe trascorsa nella più nera miseria, si confortava sapendola ora al sicuro.

Però era diventato cattivo; aveva perduto l’innocenza serbata fino al giorno della sua condanna; imprecava, e se c’era occasione rubava e s’ubbriacava come il più vile dei galeotti. A Dio non pensava più; o se ci pensava era con ira, come ad una cosa mostruosa che aveva permesso si compiesse su una sua creatura la più infame delle ingiustizie.

Fra i compagni di sventura, zio Barabba strinse amicizia con un altro sardo, un vec-

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