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92 CANTO

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III.1


Offuscò il cielo, ai rai del sol fe’ scorno
  Il grandinar delle saette sparte.
  Chi si ricorda aver veduto, il giorno
  28Del protettor della città di Marte,
  Dall’alta mole d’Adríano intorno
  Cader nembi di razzi in ogni parte:
  Pensi che fosse ancor più denso il velo
  32Della pioggia ch’allor cadde dal cielo.

IV.


Al frangersi dell’aste, al gran fracasso
  Dell’incontro dell’armi e de’ cavalli,
  Sembran tutte cader le selve abbasso
  36Svelte dall’Alpi, e risonar le valli.
  Più non appar da lato alcuno il passo,
  Fuggono le distanze e gl’intervalli;
  E son già i prati e le campagne amene,
  40Di morte e di terror tutte ripiene.

V.


Or preme e incalza, or torna indietro il piede
  Questa ordinanza e quella; e dove inchina
  Una schiera, talor l’altra succede,
  44E ripara in altrui la sua ruina:
  Indi torna la prima, e l’altra cede,
  Come parte e ritorna onda marina.
  Van quinci e quindi i capitani accorti,
  48Spingendo i vili, e rinfrancando i forti.

VI.


Ah, dicea Salinguerra, uomini vani
  Che gite armati sol per ornamento,
  Ove sono le spade, ove le mani,
  52Ove il cor generoso e l’ardimento?
  Se vi fanno tremar questi villani
  Rozzi, senz’armi e senza esperimento,
  Come potrò sperar ch’oggi vi mova
  56Desio di fama a più lodata prova?

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