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100 CANTO

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XXXV.


Di due percosse il re fu colto intanto
  Sull’elmo, e a sommo ’l petto al gorgierino:4
  Della seconda ebbe l’onore e ’l vanto
  284Vanni Maggi figliuol di Caterino.
  Ma con forza maggior dal destro canto
  Il ferì Gabbíon di Gozzadino;
  Che con un colpo d’alabarda fiero
  288Di testa gli levò tutto il cimiero.

XXXVI.


A lui si volse il re con un riverso,
  E ’l colse appunto al confinar del ciglio:
  Tutta la testa gli tagliò a traverso;
  292Balzò un occhio lontan dall’altro un miglio;
  Per la cuffia il cervel sen gío disperso,
  Stè in sella il tronco, e l’alma andò in esiglio:
  E ’l destriero che ’l fren sentia più lasso,
  296Incognito il portava attorno a spasso.

XXXVII.


Non ferma qui la furibonda spada,
  Ch’era una lama dalla lupa antica,5
  Ma tronca, svena, fende, apre e dirada
  300Ciò ch’ella incontra; uomini ed armi abbica:
  Or quinci or quindi si fa dar la strada;
  Ma innumerabil turba il passo intrica.
  Veggonsi in aria andar teste e cervella,
  304E nel sangue notar milze e budella.

XXXVIII.


Da mille lance il re percosso e cinto,
  E da mille spuntoni e mille dardi,
  Tutto è molle di sangue: e mezzo estinto
  308Ha il famoso drappel di que’ gagliardi.
  Tognon rimproccia i suoi, dall’ira vinto,
  E grida: Ah faccia d’uomini codardi!
  Sì vilmente morir, scannaminestre?
  312Che vi sia dato il pan colle balestre.

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