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102 CANTO

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XLIII.


Qual fiero toro a cui di funi ignote
  Cinto fu il corno e ’l piè da cauta mano,
  Muggisce, sbuffa, si contorce e scuote,
  348Urta, si lancia e si dibatte invano;
  E quando alfin de’ lacci uscir non puote,
  Cader si lascia afflitto e stanco al piano:
  Tal l’indomito re, poichè comprese
  352D’affaticarsi indarno, alfin si rese.

XLIV.


Fu drizzato il carroccio, e fu rimesso
  In sedia il Podestà tutto infangato.
  Non si trovò il robon, ma gli fu messo
  356Indosso una corazza da soldato.
  Le calze rosse a brache avea, col fesso
  Dietro, e dinanzi un braghetton frappato,
  E una squarcina in man larga una spanna:
  360Parea il bargel di Caifás e d’Anna.

XLV.


Ei gridava in Bresciano: Innanz innanzi;
  Che l’è rott’ol nemig, valent soldati:
  Feghe sbittà la schitta a tucch sti Lanzi
  364Maledetti da Dè, scomunegati.
  Così dicendo, già vedea gli avanzi
  Del destro corno andar qua e là sbandati,
  E raggirarsi per que’ campi aprichi,
  368Cercando di salvar la pancia ai fichi:

XLVI.


Perocche ’l buon Perinto avea già rotti
  Tedeschi e Sardi e Garfagnini e Corsi,
  E gli altri ch’al bottin fallace, indotti
  372Da malcauta speranza, erano corsi.
  I Tedeschi, del vino ingordi e ghiotti,
  Dietro a certi barili eran trascorsi;
  Che ne credeano far dolce rapina:
  376E in cambio di verdea trovar tonnina.

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