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118 CANTO

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XXXI.


Qui chiuse i lumi Alessio; e ’l Malatesta
  Frenò la mano, e ritirando il passo:
  Col mal augurio tuo (disse) ti resta:
  252E va’ giù a profetar con Satanasso:
  L’armi e la ricca tua serica vesta
  Portale teco pur; ch’io le ti lasso
  Con questi annunzi tuoi sciaurati e rii,
  256O poeta o stregon che tu ti sii.

XXXII.


E in questo dire in sul destrier salito,
  Alla pugna volgea senza soggiorno,
  Dal magnanimo cor tratto all’invito
  260Del suon dell’armi che fremea d’intorno;
  Quando il tergo de’ suoi vide assalito
  Dal feroce Roldan che fea ritorno
  Dalla campagna, e seco avea Ramberto
  264Di sangue e di sudor tutto coperto.

XXXIII.


Onde contra il furor delle balestre
  Che scoccava ne’ suoi la gente alpina,
  Subito strinse l’ordinanza equestre,
  268E si ritrasse a un’osteria vicina:
  E ’l capitan Paolucci alla pedestre,
  Sudando e ansando, e colla man mancina
  Dimenando il cappel per farsi vento,
  272Ritrasse anch’egli i suoi, ma con più stento;

XXXIV.


Che Betto e Vico e Peppe e Ciancio e Lello
  E Tile e Mariotto e Cecco e Bino,
  E ’l Miccia d’Erculan Montesperello
  276Vi restar morti, e Cittolo Oradino;
  E prigioni, Binciucco Signorello,
  E Mede di Pippon Montomelino;
  E Fulvio Gelomia cadde di sella,
  280Primo cultor della natia favella.

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