< Pagina:La secchia rapita.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

SETTIMO 125

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:138|3|0]]


LIX.


Giugne Renoppia; e dove rotta vede
  Dalla ripa fuggir l’amica gente;
  Volge coll’arco teso in fretta il piede,
  476E, di lampi d’onor nel viso ardente:
  Oh infamia, grida, ch’ogn’infamia eccede!
  Tornate, e dite alla città dolente,
  Che moriron le figlie e le sorelle
  480Dove fuggiste voi, popolo imbelle.
 

LX.


Noi morirem qui sole e gloriose;
  Gite voi a salvar l’indegna vita:
  Non resteran vostre ignominie ascose;
  484Nè la fama con noi fia seppellita.
  Seco Renoppia avea le bellicose
  Donne di Pompeian, schiera fiorita
  Ch’in Modana arrestò tema d’oltraggio;
  488E cento delle sue di più coraggio;
 

LXI.


E fra queste Celinda e Semidea
  Di Manfredi sorelle, e sue dilette:
  E l’una e l’altra l’asta e l’arco avea,
  492E la faretra al fianco e le saette.
  Renoppia che dal ponte i suoi vedea
  Tutti fuggir, la cocca all’occhio mette,
  E drizza il ferro alla scoperta faccia
  496Di Perinto ch’a’ suoi dava la caccia.

LXII.


E se non che Minerva il colpo torse
  Dal segno ove ’l drizzò la bella mano,
  Il fortissimo eroe periva forse:
  500Ma non uscì però lo strale invano:
  Ch’al destrier ch’a quel punto in alto sorse
  D’un salto, e si levò tutto dal piano,
  Andò a ferir nel mezzo della fronte;
  504Onde col suo signor cadde sul ponte.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.