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142 CANTO

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LI.


Quando la bella Dea del primo cielo,
  Tutta cinta de’ rai del morto sole,
  Alla scena del mondo aprendo il velo,
  412Le campagne mirò tacite e sole:
  E sparsa la rugiada, e scosso il gielo
  Dal lembo sovra l’erbe e le viole,
  A caso il guardo in quella piaggia stese;
  416E vaga di veder, dal ciel discese.

LII.


Sparvero i pargoletti all’apparire
  Della Dea spaventati; ed ella, quando
  Vide il giovane sol quivi dormire,
  420Ritenne il passo, e si fermò guardando.
  L’onestà virginal frenò l’ardire;
  E negli atti sospesa, e vergognando,
  Avea già per tornare il piè rivolto;
  424Ma richiamata fu da quel bel volto.

LIII.


Sentì per gli occhi al cor passarsi un foco
  Che d’un dolce desío l’alma conquise.
  Givasi avvicinando a poco a poco,
  428Tanto ch’al fianco del garzon s’assise;
  E di que’ vaghi fior ch’avean per gioco
  Gli Amoretti intrecciati in mille guise,
  S’incoronò la fronte, e adornò il seno;
  432Che tutti fur per lei fiamma e veleno.

LIV.


Trassero i fior la man, la mano i baci
  Alle guance, alle labbra, agli occhi, al petto,
  Che s’impresser sì vivi e sì tenaci,
  436Che si destò smarrito il giovinetto.
  Al folgorar delle divine faci
  Tutto tremò di riverente affetto;
  E ad atterrarsi già ratto surgea,
  440S’ella non l’abbracciava e nol tenea.

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