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156 | CANTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:169|3|0]]
XXVII.
Però, se stesse a me, farei divieto
Che nessuno de’ miei con lui giostrasse.
Prese il Potta il consiglio, e fe’ un decreto
220Che nell’isola alcun più non entrasse:
E se ne stette poscia attento e cheto,
Mirando ciò che l’inimico oprasse;
E vide due, vestiti a bruno ed oro,
224Appresentarsi co’ cavalli loro.
XXVIII.
L’un d’essi corse; e tocco appena fue,
Ch’uscì di sella, e si distese al piano:
E pur mostrava alle sembianze sue,
228D’esser di core indomito e di mano.
Secondò l’altro; e per la groppa in giue
Restò cadendo al suo caval lontano.
Risorse il primo, e a quel della riviera
232Disse con voce e con sembianza altera:
XXIX.
Guerrier, se tu non sei per via d’incanto
Prode coll’asta, or dell’arcion discendi,
E colla spada che tu cigni accanto,
236A trarmi, in cortesia, d’inganno imprendi.
E s’hai timor di non turbar frattanto
La giostra, a tuo piacer pugna e contendi:
Purch’io ti provi un colpo o due col brando,
240Ecco lo scudo, e più non t’addimando.
XXX.
Rispose il Cavalier dell’isoletta:
A dismontar sarei forse obbligato
S’a combatter per odio o per vendetta
244Fossi venuto in questo campo armato.
A giostrar venni, e solo Amor m’alletta;
E ’l mio disegno a tutti ho palesato;
Sicch’io non son tenuto a uscir di questa,
248Per varìar tenzone a tua richiesta.