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NONO 163

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LV.


L’asino un par di calci gli appresenta,
  Indi mena la coda agile e presta:
  Apre a un tempo la canna, e lo sgomenta
  444Coi ragli che tremar fan la foresta.
  Sbatte l’orecchie, e di ferir non lenta
  Or le spalle, or i fianchi, ora la testa:
  Volta la poppa, e tuona, e all’improvviso
  448Fulmina, e a fresco gli dipinge il viso.

LVI.


Il buon Roman che la tempesta sente,
  Getta lo scudo: ed a fuggir si pone.
  Rise il Mantenitor dirottamente,
  452E tornò in sulle mosse al padiglione.
  Ma già la notte il carro all’occidente
  Volgea, nè compariva altro campione:
  Ond’ei si chiuse nella tenda: e ’ntanto
  456Dieron principio i galli al primo canto.

LVII.


Il dì seguente il giostrator si stette
  Nel padiglione, e non fe’ mostra alcuna.
  Ma poich’usciro i gufi e le civette
  460Su per gli tetti a salutar la luna;
  A suon di trombe con nuov’armi elette
  Anch’egli fe’ vedersi in veste bruna:
  Bruno il cimiero, e bruno il guarnimento,
  464Ma bianco era il destrier più che l’argento.

LVIII.


E i paggi che servian per candellieri,
  Dove dianzi parean della Guinea,
  Parean scesi dal cielo angeli veri;
  468E come i visi, ancor cangiar livrea.
  Tutti comparver con vestiti neri,
  In calze a tagli: onde a veder correa
  La gente ch’io cantai, che qui si tace,
  472A cui la torta col pan unto piace.

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