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DECIMO 177

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XXVII.


Da Nisida la Dea spedisce un messo
  Al principe Manfredi;5 e ’n terra scende,
  E cangia volto, e bel sembiante espresso
  220Della Contessa di Caserta prende.
  Il principe e costei d’un padre stesso
  Nacquero, se la fama il vero intende,
  Ma di madri diverse; e fur nudriti
  224Per alcun tempo in differenti liti.

XXVIII.


Condotti in corte poi fanciulli ancora,
  Nell’albergo real crebbero insieme
  Senza riguardo, infin che venne l’ora
  228Che ’l fior di nostra età spunta col seme.
  Erano gli anni quasi uguali, e allora
  Dell’uno e l’altro le bellezze estreme:
  Onde il fraterno amor, non so dir come,
  232Strano incendio divenne, e cangiò nome.

XXIX.


Sospettonne, osservando i gesti e i visi,
  Il padre, e maritò la giovinetta:
  Ma i corpi fur, non gli animi, divisi,
  236E restò l’alma in servitù ristretta.
  Or che vede venir con lieti avvisi
  Manfredi il messaggier dall’isoletta,
  Cuopre la poppa d’una navicella,
  240E solo e chiuso va dalla sorella.

XXX.


Trovolla appiè d’una distrutta rocca,
  Che passeggiava in un giardino ameno.
  Subito scende, e, come Amore il tocca,
  244Corre e l’abbraccia, e la si strigne al seno,
  E la bacia negli occhi e nella bocca:
  E dalla Dea d’Amor tanto veleno
  Con que’ baci rapisce e tanto foco,
  248Che tutto avvampa, e non ritrova loco.

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