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178 CANTO

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XXXI.


Volea iterar gli abbracciamenti e i baci;
  Ma con la bella man la Dea s’oppose,
  E respignendo l’avide e mordaci
  252Labbia, si tinse di color di rose.
  Frenate, signor mio, le mani audaci,
  E le voglie dicea libidinose;
  Che non son questi, agli andamenti, ai cenni,
  256Baci fraterni: e udite perch’io venni.

XXXII.


Il Principe ristette: ed ella, poi
  Che d’Enzio il fiero caso ebbe narrato,
  Ch’estinto il fior de’ cavalieri suoi,
  260Prigioniero pugnando era restato;
  Le lagrime asciugando: Or, disse, a voi
  Che mio padre in sua vece ha qui lasciato,
  Tocca mostrar, s’in voi non mente il sangue,
  264Che la destra di Svevia ancor non langue.

XXXIII.


Voi che reggete il fren di questo regno,
  Potete vendicar di nostro padre
  E di nostro fratel l’obbrobrio indegno,
  268Armando in terra e in mar diverse squadre.
  Nè già più glorìoso o bel disegno,
  Nè più famose prove e più leggiadre
  Poteva in terra o in mar da parte alcuna
  272Al valor vostro appresentar Fortuna.

XXXIV.


Io, se non fossi donna, andrei con questa
  Mano a spianar le temerarie mura;
  Nè vorrei che giammai l’iniqua gesta
  276Si vantasse d’aver parte sicura,
  Se prima non venisse in umil vesta
  Con una fune al collo o la cintura
  A chiedermi perdono, e a consegnarmi
  280Il mio fratello e la cittade e l’armi.

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