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DECIMO 187

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LXVII.


E gli giura ch’un paggio gli ha rubato
  Il suo caval, nè sa dove sia gito;
  Ma se può ritrovarlo in alcun lato,
  540Che ’l tristo ladroncel farà pentito.
  Titta che già si vede assicurato,
  Comincia a ruminar nuovo partito
  Di ritenersi ancor la Donna appresso,
  544Senza che ne sospetti il Conte stesso.

LXVIII.


Con lei s’accorda; e trova acqua stillata
  Da scorza fresca di matura noce,
  E ’l bel collo e la faccia dilicata
  548Della Donna e le man bagna veloce.
  Si disperde il candore; e sembra nata
  In Mauritania, là dove il sol cuoce.
  D’un leonato scuro ella diviene;
  552Ma grazia in quel colore anco ritiene.

LXIX.


Come panno di grana in bigio tinto
  Ritiene ancor della beltà primiera,
  E nel morto color d’un nero estinto
  556Purpureggiar si vede in vista altera;
  Così di quella faccia il color finto
  Ritiene ancor della bellezza vera,
  Splende nel fosco; e de’ begli occhi il lume
  560Folgoreggia anco al solito costume.

LXX.


D’una giubba azzurrina ornata d’oro
  Quindi ei la veste, e le ricopre il seno;
  E tutta d’un leggiadro abito moro
  564L’adorna sì, che non gli piace meno.
  Indi la mostra al Conte, e dice: I’ moro
  Per questa ingrata schiava, e spasmo e peno;
  E a lei di me non cal; nè so che farmi.
  568Pregala, Conte mio, che voglia amarmi.

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