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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:200|3|0]]
LXVII.
E gli giura ch’un paggio gli ha rubato
Il suo caval, nè sa dove sia gito;
Ma se può ritrovarlo in alcun lato,
540Che ’l tristo ladroncel farà pentito.
Titta che già si vede assicurato,
Comincia a ruminar nuovo partito
Di ritenersi ancor la Donna appresso,
544Senza che ne sospetti il Conte stesso.
LXVIII.
Con lei s’accorda; e trova acqua stillata
Da scorza fresca di matura noce,
E ’l bel collo e la faccia dilicata
548Della Donna e le man bagna veloce.
Si disperde il candore; e sembra nata
In Mauritania, là dove il sol cuoce.
D’un leonato scuro ella diviene;
552Ma grazia in quel colore anco ritiene.
LXIX.
Come panno di grana in bigio tinto
Ritiene ancor della beltà primiera,
E nel morto color d’un nero estinto
556Purpureggiar si vede in vista altera;
Così di quella faccia il color finto
Ritiene ancor della bellezza vera,
Splende nel fosco; e de’ begli occhi il lume
560Folgoreggia anco al solito costume.
LXX.
D’una giubba azzurrina ornata d’oro
Quindi ei la veste, e le ricopre il seno;
E tutta d’un leggiadro abito moro
564L’adorna sì, che non gli piace meno.
Indi la mostra al Conte, e dice: I’ moro
Per questa ingrata schiava, e spasmo e peno;
E a lei di me non cal; nè so che farmi.
568Pregala, Conte mio, che voglia amarmi.