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UNDECIMO | 193 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:206|3|0]]
XV.
La prima cosa lasciò l’alma a Dio:
E lasciò il corpo a quell’eccelsa terra
Dov’era nato; e per legato pio
124Danari in bianco, e quantità di terra.
Indi tratto da folle e van desio
A dispensar gli arredi suoi da guerra,
Lasciò la lancia al re di Tartaria,
128E lo scudo al soldan della Soria;
XVI.
La spada a Federico imperatore,
Ed al popol romano il corsaletto;
Alla Reina del mar d’Adria, onore
132Del secol nostro, un guanto e un braccialetto;
L’altro lasciollo alla città del Fiore;s4
E al greco imperator lasciò l’elmetto:
Ma il cimier che portar solea in battaglia,
136Ricadeva al signor di Cornovaglia.
XVII.
Lasciò l’onore alla città del Potta,
Poi fe’ del resto il suo padríno erede.
D’intorno al letto suo s’era ridotta
140Gran turba intanto, chi a seder, chi in piede:
Fra’ quali stando il buon Roldano allotta,
Che non prestava alle sue ciance fede,
Gli diceva all’orecchia tratto tratto:
144Conte, tu sei vituperato affatto.
XVIII.
Non vedi che costor t’han conosciuto
Che per tema tu fai dell’ammalato?
Salta su presto, e non far più rifiuto;
148Che tu svergogni tutto il parentato.
Noi spartiremo e ti daremo aiuto,
Subito che l’assalto è incominciato.
Il Conte si ristrigne e si lamenta;
152E si vorria levar, ma non s’attenta.