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DUODECIMO 221

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LXIII.


Correano a gara i capitani al ponte
  Dove maggior periglio esser parea.
  E quivi il furibondo Eurimedonte
  508Col destriero ingombrato il varco avea;
  E in minacciosa e formidabil fronte
  Colla spada a due man ferendo, fea
  Smembrati e morti giù dall’alta sponda
  512Cavalli e cavalier cader nell’onda.

LXIV.


A Petronio Casal divise il volto
  Fra l’uno e l’altro ciglio infino al petto.
  A Gianpietro Magnan, ch’a lui rivolto
  516Già tenea per ferirlo il brando eretto,
  Troncò la mano, e aperse il fianco, e sciolto
  Trasse lo spirto fuor del suo ricetto.
  E partito dal collo a una mammella
  520Ridolfo Paleotti uscì di sella.

LXV.


Ma di gente plebea n’uccide un monte
  Che s’erge sovra l’onda; e innanzi passa.
  Seguono i Padovani; e già del ponte
  524Le staccate e le sbarre addietro lassa.
  Quindi nelle trincere urta per fronte,
  E le rompe e le sparge e le fracassa.
  Si rinforza il nemico, e fa ogni prova
  528Contra tanto furor, ma nulla giova;

LXVI.


Che da levante vien per fianco il forte
  Gherardo a un tempo, e da ponente viene
  Manfredi; e l’uno e l’altro ha in man la morte,
  532E fa di sangue rosseggiar l’arene.
  Trasser le genti lor con pari sorte
  Di là dall’onda, e per le rive amene
  Taciti costeggiando, a un punto furo
  536Sopra i nemici incauti al cielo oscuro.

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