< Pagina:La secchia rapita.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

DUODECIMO 223

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:236|3|0]]


LXXI.


Più non tornaro al ponte i Modanesi,
  Ma a Castelfranco fer passar la gente:
  E quivi furo i padiglioni tesi
  572Poco distanti, al lato di ponente;
  Dove ancor sono i margini difesi
  Da una trinciera quadra ed eminente,
  Che può veder, passando in sulla strada,
  576Qualunque dal castello al fiume vada.

LXXII.


Tiraro il dì seguente una trinciera
  I Bolognesi fuor della muraglia;
  E quivi usciro armati alla frontiera
  580Contra i nemici, in atto di battaglia:
  Ma stetter poi così fino alla sera,
  Per mostrar di non ceder la puntaglia,
  E intanto il Reggimento avea mandato
  584Un messo in fretta al cardinal Legato,

LXXIII.


Cui chiedendo perdon del folle eccesso,
  D’aiuto il supplicava e di consiglio,
  Con libero e assoluto compromesso,
  588Purchè levasse i suoi fuor di periglio.
  Egli dissimulando il gusto espresso
  Di vedergli abbassato il superciglio,
  Mostrò dolersi dell’avuta rotta,
  592E fe’ ritorno alla città del Potta.

LXXIV.


Quivi accolto in Senato, ei disse: Amici,
  Io torno a voi con quell’istessa fede
  Ch’io ritrassi l’altrier che i benefici
  596Non mi faceano ancor sperar mercede.
  Voi ch’io credea di ritrovar nemici,
  Feste donna di voi la santa sede;
  E i nostri amici vecchi, insuperbiti,
  600Mutaron fede, e ne lasciar scherniti.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.