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DELL' OCEANO 235

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XVI.


Ciò che saggio nocchier, ch’ antiveduto
  Potea fare o soldato, o capitano,
  Tutto fe’ il valoroso, e fu veduto
  124Ne’ più vili bisogni oprar la mano;
  Ma quando indarno alfin vide ogni aiuto,
  Ogni fatica, ogni consiglio vano;
  Fermossi immoto, e pien d’ardente zelo
  128Rivolse gli occhi e le parole al Cielo.

XVII.


E disse: Ecco, Signor, che vinto cede
  Alla possanza tua mio frale ingegno;
  Se non è tuo voler che la tua fede
  132Portata sia da un peccatore indegno,
  Dove non pose mai, ch’ io creda, il piede
  Alcun della tua legge e del tuo regno;
  Perdona a questi almen che non han colpa
  136E del soverchio ardir me solo incolpa.

XVIII.


Ma se questi del mar fieri contrasti
  Vengono a noi dalla Tartarea corte;
  Tu, che d’Egitto all’empio Re mostrasti
  140L’alto valor della tua destra forte,
  E d’Israel il popolo salvasti,
  Oggi salva ancor noi con egual sorte;
  E vegga dell’Inferno il seme rio
  144Che ’n cielo, in terra e ’n mar tu sol sei Dio.

XIX.


Salì questa preghiera al ciel volando,
  E fermò l’ali ai piè del Redentore.
  Mirolla, e ’l guardo in Urrìel girando,
  148Che dell’Ispano regno è protettore;
  Va’ tu, gli disse; e quegli al gran comando
  Tosto s’armò di lampi e di terrore,
  E dove perigliar vede il Colombo
  152Trasse la spada e già lanciossi a piombo.

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