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DELL' OCEANO 249

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LXXII.


Tre giorni siamo in sì solinga stanza
  Senza riposo e senza cibo stati,
  Di rimedio non pur, ma di speranza
  572Da tutti gli elementi abbandonati.
  Questo spirto, Signor, per te n’avanza:
  Che se tu ti scordavi i tuoi soldati,
  0 più tardi giugnevi in lor soccorso,
  576Di nostra vita era finito il corso.

LXXIII.


Qui tacque Blasco, e lo smarrito aspetto
  Degli altri confirmò le sue parole.
  Li conforta il Colombo, e con affetto
  580Paterno di lor mal seco si duole;
  Fa ristorargli, e ascolta con diletto
  I lor vaneggiamenti e le lor fole,
  E l’Isola diserta intanto lassa,
  584E a prender acqua alla vicina passa.

LXXIV.


Vede rustici alberghi e abitatori,
  E d’acqua chiede, (maraviglia strana!)
  Trova il terren che non produce umori,
  588Ma un grand’ arbore in vece è di fontana:
  Stringonsi intorno a lui tutti i vapori
  Del luogo, e fuor d’ogni credenza umana
  La virtù di quell’arbore gli scioglie,
  592E gli distilla giù dalle sue foglie.

LXXV.


Quivi egli empiè a grand’ agio i vasi voti,
  E tolse al dipartir rinfrescamenti,
  E veggendo del mar già queti i moti,
  596Di nuovo fe’ spiegar le vele ai venti.
  Musa, cui sono i gran perigli noti
  Nel girar ch’ ei fe’ il mondo a nuove genti,
  Tu d’intelletto fior dammi e di senso,
  600Qual si conviene all’Oceano immenso.

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