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TERZO 47

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XLVII.


Ma dove lascio di Sassol la gente
  Che suol dell’uve far nettare a Giove,
  Là dove è il dì più bello e più lucente,
  372Là dove il ciel tutte le grazie piove?
  Quella terra d’amor, di gloria ardente,
  Madre di ciò ch’è più pregiato altrove,
  Mandò cento cavalli, e intorno a mille
  376Fanti raccoglie da sue amene ville.

XLVIII.


Roldano della Rosa è il duca loro,
  Ch’un tempo guerreggiando in Palestina
  Contra ’l campo d’Egitto, e contra ’l Moro,
  380Fe’ del sangue pagan strage e ruina.
  Sparsa di rose e di fiammelle d’oro
  Avea l’insegna azzurra e purpurina.
  E dietro a lui venía poco lontano
  384Folco Cesio signor di Pompeiano;

XLIX.11


Pompeiano ove suol l’aura amorosa
  Struggere il giel di que’ nevosi monti:
  Gommola e Palaveggio alla famosa
  388Donna del seggio lor chinan le fronti.
  Sotto l’insegna avea d’una spinosa
  Folco raccolti de’ più arditi e pronti
  Trecento, che su’ zoccoli ferrati
  392Se ne venian di chiaverine armati.

L.


E quel ch’era mirabile a vedere,
  Cinquanta donne lor con gli archi in mano,
  Avvezze al bosco a saettar le fiere,
  396E a colpir da vicino e da lontano;
  Succinte in gonna, e faretrate arciere,
  Calavano con lor dal monte al piano;
  E la chioma bizzarra e ad arte incolta,
  400Ondeggiando sul tergo iva disciolta.

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