Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO QUARTO | 57 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:70|3|0]]
III.
O vero seme del valor latino,2
Ben aveste l’altrier da Federico
Un privilegio in foglio pecorino,
28Che vi ridona il territorio antico
Che terminava già sopra ’l Lavino:3
Ma il donativo suo non vale un fico,
Se con quest’armi che portiamo accanto
32Non ne pigliamo noi possesso intanto.
IV.
Sol Castelfranco ne può far inciampo,
Che rinforzato è di presidio grosso:
Ma non avrà da noi riparo o scampo,
36Se con tant’armi gli giugniamo addosso.
Quivi noi fermeremo il nostro campo
Contra ’l nemico che non s’è ancor mosso;
E potremo goder, sicuri e lieti,
40De’ beni altrui, finchè Fortuna il vieti.
V.
Tutte nostre saran senza sospetti
Queste ricche campagne e questi armenti:
La salciccia, i capponi e i tortelletti
44Da casa ci verran cotti e bollenti;
E dormiremo in quegli stessi letti
Dov’ora dormon le nemiche genti.
Il re giungerà in campo innanzi sera;
48Chè già scesa dal monte è la sua schiera.
VI.
Ma che più vi trattengo, o forti? andiamo
A trar di bízzarria questi capocchi:
Leviamgli Castelfranco, e poi vediamo
52Ciò che faran con quel fuscel negli occhi.
Ricco di preda è quel castel; io bramo
Ch’ognun ne goda, a ciaschedun ne tocchi:
Io per me certo non ne vo’ un quattrino,
56E dono la mia parte al più meschino.