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QUARTO 63

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XXVII.


Giberto intanto avea rotta la lancia
  Nel ventre a Gambacorta Scarlattino,
  E col troncon fatta crepar la pancia
  220D’un fiero colpo a Stefanel Rossino;
  Quando tolse una scure a Testarancia
  Figliuol di Filippon da Sandonnino,
  E con essa a due man fe’ tal ruina,
  224Che tolse il vanto a quei della tonnina.7

XXVIII.


Uccise Braghetton da Bibianello,
  Ch’un tempo a Roma fece il cortigiano;
  E ’l nome v’intagliò con lo scarpello
  228Sotto Montecavallo a manca mano.
  Avea la pancia come un caratello,
  E avría bevuta la città d’Albano;
  Nè mai chiedeva a Dio nel suo pregare,
  232Se non che convertisse in vino il mare.

XXIX.


Gli divise la pancia il colpo fiero,
  E una borrachia ch’all’arcione avea.
  Cadeano il sangue e ’l vin sopra ’l sentiero;
  236E ’l misero del vin più si dolea.
  L’alma ch’usciva fuor col sangue nero,
  Al vapor di quel vin si ritraea,
  E lieta abbandonava il corpo grasso,
  240Credendo andar fra le delizie a spasso.

XXX.


Uccise dopo questi Alceo d’Ormondo,
  Protonotario e camerier d’onore
  Nella corte papal, capo del mondo;
  244E di più, cavalier, conte e dottore:
  E ’l miser Baccarin da Sansecondo,
  Che delle pappardelle era inventore,
  Morto lasciò, con gli altri male accorti,
  248Sotto Rubiera ad ingrassar quegli orti.

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