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66 CANTO

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XXXIX.9


Di Salinguerra il poderoso dico,
  Che tenne già Ferrara e Francolino,
  Finchè fu poi dal papa suo nemico
  316Sospinto fuor del nobile domíno;
  E tornò a ripigliar lo scettro antico
  Il seme del superbo Aldobrandino.
  Si trova insomma scritto in varie carte,
  320Che ’l Conte era grand’uomo in ogni parte.

XL.


Tosto ch’ode il romor, chiede da bere
  A Livio suo scudiero, e l’armi chiede;
  E beve in fretta, e poi volge il bicchiere
  324Sopra la sottocoppa in su col piede:
  S’adatta i braccialetti e le gambiere;
  S’affaccia alla finestra, e guarda, e vede
  A quel romor, senza notizia averne,
  328Saltar di casa ognun colle lanterne.

XLI.


Già avea l’usbergo, e subito s’allaccia
  L’elmo con piume candide di struzzo;
  Cigne la spada e ’l forte scudo imbraccia,
  332E monta sopra un nobile andaluzzo.
  Gli portava dinanzi una rondaccia10
  E una balestra il sordo Malaguzzo.
  Era stizzato, e gli sapeva male
  336Di non aver finito il madrigale.

XLII.


Giunto alla porta, e udito il gran fracasso,
  Montò subitamente in sulle mura,
  E mirò intorno, e vide giù nel basso
  340D’armi coperto il ponte e la pianura;
  Vide i nemici aver serrato il passo,
  E de’ soldati suoi l’aspra ventura:
  Onde pieno d’angoscia e di dispetto,
  344Sospirò forte, e si percosse il petto.

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