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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|La secchia rapita.djvu{{padleft:92|3|0]]
XIX.
Come al cader di quella sacra avviene,
Ch’ad ogni cinque lustri apre il gran padre,
Quando la gente di lontan sen viene
156A Roma a riverir l’antica madre;
Che non giovan le sbarre e le catene
A trattener le peregrine squadre
Ch’inondano a diluvio; e chi s’arresta,
160Lo soffoga la turba e lo calpesta:
XX.
Tale, al cader delle nemiche porte,
L’impetuosa turba inonda e passa;
E di pianto, d’orror, di sangue e morte
164Ogni cosa al passar confusa lassa.
Il feroce e l’imbelle ad una sorte
Cade: ogn’incontro il vincitor fracassa.
Fugge il vinto, e s’appiatta, o l’armi cede,
168E s’inginocchia a domandar mercede:
XXI.
Ma non trova mercè nè cortesia,
E invan s’inchina, e invan la vita chiede:
Il Potta vuol che Castelfranco sia
172Esempio eterno a non mancar di fede.
Furore ha luogo; ogni pietà s’oblía:
Veggonsi in ogni parte incendi e prede;
E cade in poca cenere un castello,
176Di cui non era in Lombardia il più bello.
XXII.
E già sulle ruine il vincitore,
Dal lungo faticar stanco, sedea;
Quand’ecco di lontan s’udì un romore
180Che rimbombar d’intorno il pian facea.
Venía il campo nemico a gran furore,
Che ’l periglio de’ suoi già inteso avea;
Ed era quel che la foresta e i lidi
184Fea risonar di trombe e corni e gridi.