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La sconfitta degli usbeki. 263

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le aquile della steppa.djvu{{padleft:269|3|0]]colpi dei suoi nemici e di nascondersi, al momento opportuno, fra le erbe, aveva preferito giuocare di gambe.

Tabriz lo aveva però scorto e quantunque non avesse preso con sè nessun archibugio, si era slanciato risolutamente sulle sue tracce, contando sul proprio kangiarro.

Hossein si era provato a sua volta ad inseguirlo, però non aveva percorsi dieci passi che si era sentito scaraventare in aria.

Il suo cavallo aveva urtato in qualche ostacolo, probabilmente contro qualche fune tesa fra le erbe, ed era caduto sbalzando di sella il cavaliere.

Quel capitombolo non poteva avere tristi conseguenze fra quelle masse erbose alte un paio di metri.

Tabriz intanto continuava ad inseguire accanitamente Karaval, urlando senza posa:

— Fermati, birbante, o ti spaccherò il cranio! È Tabriz che ti dà la caccia, il gigante!...

Mi basta un pugno per accopparti!... —

Il bandito, pazzo di terrore, continuava a scappare, sbuffando come una foca. Aveva le ali ai piedi e pareva che avesse ritrovata l’agilità dei suoi vent’anni.

Tabriz però non lo lasciava e colle sue lunghe gambe e i suoi slanci di cavallo selvaggio guadagnava sempre più.

Ad un tratto il bandito incespicò e cadde. Tabriz d’un colpo gli fu addosso afferrandolo pel collo e sollevandolo come un fantoccio.

— Sei preso, miserabile! — urlò.

— Grazia! — rantolò il miserabile che non osava più dibattersi.

— Sì grazia, se parlerai. Dammi intanto il tuo kangiarro e anche il tuo archibugio, che vale in questo momento meno d’un bastone e aspettiamo il padrone.

— Il signor Hossein?

— Come! — urlò Tabriz stringendolo con maggior violenza, fino a fargli uscire la lingua d’un buon palmo. — Tu lo conosci?... Ah!... Ti sei tradito!... Il nipote del beg non si era ingannato.

— Grazia... mi strangoli.

— Non ora, — rispose il gigante, allargando il pugno.

— È necessario che tu parli prima, furfante. Gli tolse il kangiarro ed il fucile lo depose dinanzi a sè, sull’erba, dicendogli con voce minacciosa:

— Un moto, una parola e ti accoppo con un pugno, e bada

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