< Pagina:Le avventure di Pinocchio.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le avventure di Pinocchio.djvu{{padleft:242|3|0]]

XXXIII.

Diventato un ciuchino vero è portato a vendere, e lo compra il Direttore di una compagnia di pagliacci, per insegnargli a ballare e saltare i cerchi: ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo.


Vedendo che la porta non si apriva, l’omino la spalancò con un violentissimo calcio: ed entrato nella stanza, disse col suo solito risolino a Pinocchio e a Lucignolo:

— Bravi ragazzi! Avete ragliato bene; io vi ho subito riconosciuti alla voce, e per questo eccomi qui. —

A tali parole i due ciuchini rimasero mogi mogi, colla testa giù, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe.

Da principio l’omino li lisciò, li accarezzò, li palpeggiò: poi, tirata fuori la striglia, cominciò a strigliarli per bene.

E quando a furia di strigliarli, li ebbe fatti lustri come due specchi, allora messe loro la cavezza e li condusse sulla piazza del mercato, con la speranza di venderli e di beccarsi un discreto guadagno.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.