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gua; una lingua così larga e così lunga, che pareva il viottolone d’un giardino. E già stavano lì lì per fare il gran salto e per gettarsi a nuoto nel mare, quando, sul più bello, il Pesce-cane starnutì, e nello starnutire, dètte uno scossone così violento, che Pinocchio e Geppetto si trovarono rimbalzati all’indietro e scaraventati nuovamente in fondo allo stomaco del mostro.

Nel grand’urto della caduta la candela si spense, e padre e figliuolo rimasero al buio.

— E ora?… — domandò Pinocchio facendosi serio.

— Ora, ragazzo mio, siamo bell’e perduti.

— Perchè perduti? Datemi la mano, babbino, e badate di non sdrucciolare!…

— Dove mi conduci?

— Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e non abbiate paura. —

Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti. Prima però di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo:

— Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io. —

Appena Geppetto si fu accomodato per bene

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