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capitolo secondo. 91

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:118|3|0]]vitare il Partistagno a fermarsi a Fratta la notte, lamentando sempre la perfidia, l’oscurità e la lunghezza della strada; ma egli si scansava con un grazie, e buttata a Clara un’occhiatina che era rade volte e solo per caso corrisposta, andava nella scuderia a farsi insellare il suo saldo corridore furlano. S’imbacuccava ben bene nel ferrajuolo, imbracciava la coreggia del moschetto coll’indispensabile fanale sulla cima, e balzato in arcione usciva di gran trotto dal ponte levatojo, assicurandosi colla mano se nelle fonde laterali v’erano ancora le pistole. Così passava via come un fantasma per quella stradaccia tenebrosa e infossata, ma le più volte si fermava a dormire a S. Mauro due miglia discosto, dove sopra un suo podere s’era accomodate per maggior comodo quattro stanze d’una casa colonica. La gente del territorio aveva un profondissimo rispetto pel Partistagno, pel suo moschetto e per le sue pistole, ed anco pei suoi pugni, quando non aveva armi; ma quei pugni pesavano tanto, che dopo buscatine un pajo nello stomaco, non si avea duopo nè di palla nè di pallini per andare al Creatore.

Il Vianello invece veniva e partiva tutte le sere a piedi, col suo fanaletto appeso al bastone e proteso davanti, come la borsa del santese durante i riposi della predica. Pareva non avesse armi; benchè cercandogli forse nelle tasche si avrebbe trovata un’ottima pistola a due canne, arma a quei tempi non molto comune. Del resto, essendo egli figliuolo del medico di Fossalta, partecipava un poco dell’inviolabilità paterna, e nessuno avrebbe osato molestarlo. I medici d’allora contavano, secondo l’opinione volgare, nel novero degli stregoni; e nessuno si sentiva tanto ardito da provocarne la vendetta. Ne fanno tante, senza saperlo ora (delle vendette); al secolo passato ne facevano tre doppi più; figuratevi poi se vi si fossero accinti con premeditazione! — Per poco non si credevano

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