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capitolo terzo. 129

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:156|3|0]] che mi fece raggruzolar tutto per i brividi che mi corsero giù per la schiena — Così, brutto ranocchio, tu rimeriti la bontà di chi ti ha raccolto allevato nutrito, ed educato anche a leggere, a scrivere, e a servir messa?..... Me ne consolo con te. Io ti predico finora che la tua mala condotta ti trarrà in perdizione, che farai la mala vita come l’ha fatta tuo padre, che finirai col farti appiccare, come è vero che ne dimostri fin d’ora tutta la buona disposizione! —

A quel punto credetti sentire nel collo lo strettoio del capestro. — Nulla! erano le dita della Signora Contessa che mi attanagliavano al solito luogo. Io mandai due strilli così acuti, che accorsero dal tinello il piovano, il cancelliere, la Clara, il signor Lucilio, il Partistagno, e perfino un attimo dopo il signor conte e monsignore. Tutta questa gente, unita a quella che si trovava in cucina, e alle fantesche e alle cameriere accorse pur esse, componeva un bellissimo apparecchio di assistenti alla mia passione. Lo spiedo stava fermo, e la cuoca s’era intromessa per distaccarmi le mani dalla coppa e rimettermele al lavoro: ma io era ancora troppo distratto dalla rabbiosa operazione della contessa perchè potessi dar mente a quell’altro impiastro.

— Dimmi ora cos’hai fatto a zonzo fino a due ore di notte? — riprese colei riponendosi ambe le mani sui fianchi con immensa mia consolazione. — Voglio sapere tutta tutta la verità, e a me non la darai ad intendere coi tuoi grilli, e col frignare! —

La signora Veronica ghignò, come sanno ghignare solo le cattive vecchie ed il diavolo; io dal mio canto le buttai un’occhiata che valeva per cento maledizioni.

— Parla, parla, sangue di galera! — urlò la contessa facendomisi questa volta addosso con ambe le mani uncinate come gli artigli d’una gatta.

— Sono stato a spasso fino al luogo dove c’era molta acqua rossa, e molto sole. E poi, — dissi io....

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