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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:182|3|0]]
CAPITOLO QUARTO.
Don Chisciotte contrabbandiere e i signori Provedoni di Cordovado. — Idillio pastorale intorno alla fontana di Venchieredo, con qualche riflessione sull’amore e sulla creazione continua nel mondo morale. — La chierica del cappellano di Fratta, e un colloquio diplomatico fra due Giurisdicenti.
Lo Spaccafumo[1] era un fornaio di Cordovado, pittoresca terricciuola tra Teglio e Venchieredo, il quale, messosi in guerra aperta colle autorità circonvicine, dal prodigioso correre che faceva quando lo inseguivano, avea conquistato la gloria d’un tal soprannome. La sua prima impresa era stata contro i ministri della Camera che volevano confiscare un certo sacco di sale, trovato presso una vecchia vedova che abitava muro a muro con lui. Mi pare anzi che quella vecchia fosse appunto la Martinella, che a quei tempi per esser capace di lavorare non accattava ancora. Condannato al bando per due anni, il signor Antonio Provedoni, uomo di Comune, gliel’avea accomodata colla multa di venti ducati. Ma dopo la rissa coi doganieri pel sacco di sale, egli ne appiccò un’altra col vice-capitano delle carceri, che voleva imprigionare un suo cugino per averlo trovato sulla sagra di Venchieredo colle armi in tasca. Allora gli toccarono tre giorni di berlina sulla piazzuola del villaggio, e per giunta due mesi di carcere, e il bando di vent’otto mesi da tutta la giurisdizione della patria. Il fornaio piantò lì di far il pane; ed ecco a che si ridusse la sua obbedienza al decreto della cancelleria criminale di Venchieredo. Del resto continuò a far dimora qua e là nel paese; e ad esercitare a pro del pubblico il suo ministero di privata giustizia. La sbirraglia
- ↑ Spaccafumo, nel Friulano un po’ invenezianato di quei paesi, equivale a Sbattipolvere; ma traducendo così mi sarebbe sembrato di sbattezzarlo: il suo vero nome non mi ricordo di averlo saputo mai.