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capitolo quarto. 187

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:214|3|0]]— La non ne dubiti! — rispondeva la Giustina, che era una dabbene e maldestra contadinaccia sui trent’anni, sebbene ne dimostrava quarantacinque. — Se siamo vicini a quest’orecchio andremo poco lontani anche dall’altro!

— Cospetto! mi vorresti pelar tutto come un frate! — sclamò il paziente.

— Eh no, che io non l’ho mai pelato! — soggiunse la fantesca — e non lo pelerò neppure oggi.

— No, no ti dico... lascia stare, basta!

— Tutt’altro... mi lasci finire... stia zitto, non si muova per un momento.

— Eh già! voi altre donne siete il diavolo! — mormorò il cappellano. — Quando si tratta di andar innanzi a modo vostro, ci persuadereste anche a lasciarci tosare...

— Chi sa che cosa avrebbe aggiunto a quel verbo tosare; ma s’interruppe udendo sulla porta un sussurro come di speroni. Balzò allora in piedi, respinse la Giustina, si tolse dal collo lo sciugamani, e rivolgendosi tutto in un punto, si trovò faccia a faccia col signore di Venchieredo. Che viso, che occhi, che figura facesse allora il povero prete, voi lo potete immaginare! Rimase in quella malferma posizione di curiosità, di paura, di stupore nella quale lo avea colto il minaccioso apparimento del castellano; il mantino gli cascò per terra, e tra le falde del giubbone e le coscie faceva colle mani un certo armeggio che voleva dire: — Siam proprio fritti!

— Oh cappellano amatissimo, come va la salute? — cominciò il feudatario.

— Eh!... non saprei... anzi... s’accomodi... il piacere è il mio, — balbettò il prete.

— Non pare che sia un gran piacere; — proseguì il castellano. — Ella ha il viso più sparuto del suo collare, reverendo. O forse, — continuò volgendo un’occhiata bef-

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