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capitolo quinto. | 209 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:236|3|0]]vantissimo negozio della cucina, la guarnigione si sparpagliò a porre la fortezza in istato di difesa. Si appostarono alcuni vecchi moschetti alle feritoie; si trascinarono due disusate spingarde nel primo cortile; si sbarrarono le porte e le balconate. Da ultimo si suonò la campanella pel Rosario, e nessuno lo avea detto da molti anni con maggior divozione che in quella sera.
La Contessa in que’ momenti era troppo fuori di sè per badare ad altri che a se stessa, ma sua suocera quando cominciò ad imbrunire chiese conto della Clara, perchè la tardasse tanto a portarle il suo solito pan bollito. La Faustina, la Pisana ed io ci mettemmo tantosto a cercarla; chiama di qua, corri di là, non ci fu verso che la potessimo trovare. L’ortolano soltanto ci disse averla veduta uscire dalla parte della scuderia un paio d’ore prima; ma di più egli non ne sapeva, e credeva la fosse rientrata, come costumava, dalla parte del piazzale colla signora contessa. Di lì certo non avrebbe potuto ripassare, perchè il fattore avea eseguito tanto appuntino gli ordini ricevuti, che del ponticello non rimaneva vestigio. D’altra parte la notte cadeva già buia buia, e non era a credersi che la fosse stata a zonzo in fin allora. Ci rimettemmo dunque in traccia di lei, e solo dopo un’altra ora di minute ed infruttuose indagini la Faustina si decise a rientrare in cucina, per dare ai padroni quella tristissima nuova dello sparimento della contessina.
— Giurabbacco! — sclamò il conte — certo quei manigoldi ce l’hanno portata via!
La contessa volle affliggersene assai, ma la propria inquietudine la occupava troppo perchè la vi potesse riescire.
— Figuratevi, — continuava il marito — figuratevi che cosa son capaci di fare quegli sciagurati, che danno del contrabbandiere a me per poter mettere a soqquadro il paese! —