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capitolo quinto. | 215 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:242|3|0]]le quattro parti del mondo? Nè il mondo si allarga, nè la vita si allunga per ciò; e chi pensa troppo, correrà sempre fuori di quei limiti nell’infinito, nel mistero senza luce. Alla Clara e a Lucilio parve lunghissimo quell’attimo che li mise l’uno allato dell’altra, e il tempo all’incontro che camminarono insieme fino alle prime case di Fratta passò in un baleno. E sì che i piedi andavano innanzi a malincuore; e senza accorgersi, molte e molte volte s’erano fermati lungo la via discorrendo della nonna, del castellano di Venchieredo, delle loro opinioni in proposito, e più anche di se stessi, dei proprii affetti, del bel cielo che li innamorava, e del bellissimo tramonto che li fece restare lunga pezza estatici a contemplarlo.
— Ecco come io vorrei vivere! — sclamò ingenuamente la Clara.
— Come? Oh me lo dica subito! — soggiunse Lucilio colla sua voce più bella. — Ch’io vegga se sono capace di comprendere i suoi desiderii e di parteciparne!
— Davvero ho detto che vorrei vivere così, — riprese la Clara; — ed ora non saprei spiegare il mio desiderio. Vorrei vivere cogli occhi di questa splendida luce di cielo; colle orecchie di questa pace allegra ed armoniosa che circonda la natura quando si addormenta; e coll’anima e col cuore in quei dolci pensieri di fratellanza, in quei grandi affetti senza distinzione e senza misura, che sembrano nascere dallo spettacolo delle cose semplici e sublimi!
— Ella vorrebbe vivere di quella vita, che la natura aveva preparato agli uomini savii, uguali, innocenti! — rispose mestamente Lucilio. — Vita che nei nostri vocabolari ha nome di sogno e di poesia. Oh sì! la comprendo benissimo; perchè anch’io respiro l’aria imbalsamata dei sogni, e mi affido alle poesie della speranza, per non rispondere coll’odio all’ingiustizia e colla disperazione al dolore. Vegga un po’ come siamo disposti a sproposito. Chi ha braccia