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capitolo quinto. | 247 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:274|3|0]]egli pure agli altri, poichè per lei si sentiva forte e sicura contro ogni evento. Io teneva la Pisana piucchemmai stretta fra le braccia, ma la fanciulletta, mossa all’emulazione dal mio coraggio, gridava che la lasciassi, e che si sarebbe difesa da sè. L’orgoglio poteva tanto sull’immaginazione di lei, che le pareva di bastare contro un esercito. Frattanto il signor Lucilio, accostatosi ad una finestra avea domandato chi fossero coloro che bussavano.
— Amici, amici! di San Mauro e di Lugugnana! — risposero molte voci.
— Aprite! Sono il Partistagno! I malandrini furono snidati! — soggiunse un’altra voce ben nota, che sciolse, si può dire, il respiro a tutta quella gente, trepidante tra la paura e la speranza.
Un grido di consolazione fece tremare i vetri ed i muri del tinello, e se tutti fossero diventati pazzi ad un punto, non avrebbero dato in più strane e grottesche dimostrazioni di gioia. Mi ricordo e mi ricorderò sempre del signor conte, il quale al fausto suono di quella voce amica si mise le mani alle tempie, ne sollevò la parrucca, e stette con questa sollevata verso il cielo, come offerendola in voto per la grazia ricevuta. Io ne risi, ne risi tanto, che buon per me che la grandezza del contento stornasse dalla mia persona l’attenzione generale! — Finalmente le porte furono aperte, le finestre spalancate; s’accesero fanali, lucerne, lampioni e candelabri; e al festivo splendore d’una piena illuminazione, fra il suono delle canzoni trionfali, dei Te Deum e delle più divote giaculatorie, il Partistagno invase coll’armata liberatrice tutto il pianterreno del castello. Gli abbracci, le lagrime, i ringraziamenti, le meraviglie furono senza fine; la contessa, dimenticando ogni riguardo, saltò al collo del giovine vincitore; il conte, monsignor Orlando e il canonico di Sant’Andrea vollero imitarla; la Clara lo ringraziò con vera effusione d’aver risparmiato alla sua famiglia chi sa