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capitolo quinto. | 253 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:280|3|0]]fui seccato perchè recitassi il confiteor. Così si tornò dopo quella furia di burrasca alla solita vita; il signor conte peraltro aveva raccomandato che portassimo il trionfo con fronte modesta, perchè non gli garbava per nulla di andar incontro ad altre rappresaglie.
Con simili disposizioni d’animo vi figurerete che il processo instituito sulle rivelazioni di Germano non andò innanzi con molta premura; e neppure pareva che si avesse volontà di castigare davvero quei quattro scherani che erano rimasti prigionieri di guerra del Partistagno. Il Venchieredo, fatto accortamente tastare a loro riguardo, rispose, che egli veramente li avea mandati sull’orme di alcuni contrabbandieri che si dicevano rifugiati nelle vicinanze di Fratta, che se poi le sue istruzioni erano state da loro oltrepassate in modo punibile criminalmente, ciò non riguardava lui ma la cancelleria di Fratta. Il cancelliere del resto non mostrava gran volontà di vedere a fondo nelle cose, e sfuggiva di condurre i detenuti a pericolose confessioni. L’esempio di Germano parlava troppo chiaro; e l’accorto curiale era uomo da pigliar le cose di volo. Lasciava dunque dormire il processo principale, e in quell’altra inquisizione dell’assalto dato alla torre era felicissimo di aver provato la perfetta ubriachezza dei quattro imputati. Così sperava lavarsene le mani, e che la polvere dell’obblio si sarebbe accumulata provvidenzialmente su quei malaugurati protocolli.
Le cose tentennavano in questo modo da circa un mese, quando una sera due cappuccini chiesero ospitalità nel castello di Fratta. Fulgenzio che conosceva tutte le barbe cappuccinesche della provincia non raffigurò per nulla quelle due; ma avendo essi dichiarato che venivano dall’Illirio, circostanza provata vera dall’accento, furono accolti cortesemente. Fossero poi venuti dal mondo della luna, nessuno avrebbe arrischiato di respingere due