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282 | le confessioni d’un ottuagenario. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:309|3|0]] romanzi, che se li volessi contare ora, queste mie confessioni andrebbero all’infinito. Comunque sia, anche ne’ miei sentimenti qualche cambiamento era succeduto; chè mentre una volta le carezze della Pisana mi sembravano tutta bontà sua, allora invece, sentendomi cresciuto d’importanza, ne dava la loro parte anche ai miei meriti. Capperi! Dal piccolo Carletto dello spiedo, vestito coi rifiuti della servitù e coi cenci di monsignore, allo scolare di latino ben pettinato, con un bel codino nero sulle spalle, ben calzato con due piccole fibbie di ottone, e ben vestito con una giubberella di velluto turchino e le brache color granata, ci correva la gran differenza! — Così pure la mia pelle, non rimanendo più esposta al sole e alle intemperie s’era di molto incivilita. Scopersi che la era perfino bianca, e che i miei grandi occhi castani valevano quanto quelli di qualunque altro; la corporatura mi cresceva alta e svelta ogni giorno più; aveva una bocca non disaggradevole, e dentro una bella fila di denti, che se non stavano troppo vicino per non darsi noja, splendevano tuttavia come l’avorio. Soltanto quelle maledette orecchie, colpa le tirate del Piovano, prendevano troppo spazio nella mia fisonomia; ma tentava di correggere il difetto dormendo una notte su un fianco e una notte sull’altro, per dar loro una piega più estetica. Basta! me le palpo ora, e m’accorgo di esservi riescito mediocremente. Martino peraltro non si stancava dall’ammirarmi dicendomi: «È proprio vero che la bellezza per isbocciare vuol essere strapazzata. Va’ là, che tu sei il più bel Carlino di tutti i dintorni, e sì che sei nato dalle ceneri del focolare, e la più parte del latte te l’ho data io.» Il pover’uomo diventava gobbo mano a mano che io mi ingrandiva; oramai le forze gli mancavano; grattava il formaggio stando seduto, e non ci udiva più a fargli attorno qualunque rumore. Niente importava; io e lui seguitavamo a intendersela a cenni, e credo che il restar solo al mondo e il viverci senza di